Quella violenza tra noi che ci paralizza

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

A distanza di pochi giorni, gli episodi di violenza verificatisi già prima della partita tra Liverpool e Roma e sfociati nel ferimento, da parte di due tifosi romanisti, di un supporter dei Reds, Sean Cox, di 53 anni, rimasto in coma, sembrano ormai dimenticati dai mass media e dall’opinione pubblica italiana, assorbiti per ora dallo stallo nelle trattative tra i partiti per formare il nuovo governo. Eppure, forse, una riflessione sul significato di quella aggressione potrebbe servire a capire meglio anche i problemi, apparentemente insolubili, in cui si sta dibattendo la nostra politica. Perché farebbe venire alla luce lo sfondo che li accomuna, costituito dal progressivo diffondersi di uno stile di violenza che imbarbarisce ad un tempo lo sport e il dibattito pubblico.

Per quanto riguarda le tifoserie calcistiche, il fenomeno diventa sempre più allarmante. La violenza dilaga dentro e fuori gli stadi. Un rapporto del Viminale del febbraio scorso segnala che, rispetto all’intera stagione 2016-2017, quando ci furono 19 feriti e 343 persone denunziate, in quella attuale si sono registrati – già a gennaio! – 30 feriti e 431 denunzie, con 25 arresti. Come stupirsi di ciò che i nostri connazionali hanno fatto a Liverpool?

Ma, come dicevo, non si tratta di un problema che riguarda solo lo sport, bensì di un clima esasperato che è andato montando nel nostro Paese (e purtroppo non solo nel nostro), fino a rendere problematica la convivenza civile.

È questo clima, più ancora delle oggettive difficoltà di intesa tra i partiti, a rendere estremamente inquietante l’attuale crisi politica. Perché, se non si riesce a svelenirlo, non solo nessun effettivo dialogo sarà possibile tra le forze in campo, ma, anche nell’ipotesi che nuove trattative o nuove elezioni permettano a una di esse di andare al potere, la spaccatura che si è ormai creata nel Parlamento – e soprattutto nel Paese – è così profonda da rendere problematica la coesione sociale su cui ogni governo deve poter contare, per non ridursi ad essere una “dittatura della maggioranza”.

Alla base, c’è il dilagare nella politica dello stesso stile di violenza che inquina i nostri stadi. Che non si sia ancora arrivati ai colpi di spranga, come a Liverpool, non può rassicurare nessuno. Tanto più che gli adesivi e i manifesti di Pavia e Imola ritraenti il leader della Lega, Salvini, impiccato, contengono un immediato e minaccioso riferimento a questo possibile esito dello scontro verbale.

Ma l’essenza della violenza non sta in gesti concreti bensì, più alla radice, nel demonizzare l’altro, identificandolo, senza residui, senza sfumature, con un “nemico” da combattere, un concentrato di negatività, da estirpare con tutti i mezzi. Chi esita nel farlo, è solo un vigliacco o un venduto. Esistono il bianco e il nero. Il resto è sterile volontà di compromesso. Nessun dialogo è possibile.

È la logica di tutti i fondamentalismi. Ma è anche quella dei tifosi per i quali l’arbitro che fischia un fallo ai loro beniamini non può non essere un corrotto e un cornuto. Ed è la stessa che ha dominato la campagna elettorale prima delle ultime elezioni.

Per quanto paradossale possa apparire, era più possibile un confronto al tempo delle grandi contrapposizioni ideologiche della Prima Repubblica, quando c’erano delle idee da difendere, che non oggi, quando i contenuti concettuali sono ridotti veramente al minimo e lo scontro si gioca su accuse e attacchi prevalentemente personali.

Così, al posto delle “tribune politiche”, abbiamo avuto i talk show in cui ognuno dei partecipanti cerca di sovrastare con la propria voce quella dell’altro; al posto di dati reali, la tempesta dellefake-news, una più falsa e infamante dell’altra; al posto di argomenti (per cui del resto i protagonisti del dibattito sembrano poco attrezzati), slogan volti a colpire, più che ad argomentare, sullo stile dei messaggi pubblicitari.

C’è da stupirsi se, all’indomani di questo gioco al massacro, è risultato impossibile sviluppare un dialogo che era stato escluso in partenza? Se, dopo aver sentito ripetere per mesi che gli altri erano dei mascalzoni, degli impostori, degli imbecilli, la base dei rispettivi partiti si solleva inferocita contro i tardivi tentativi dei rispettivi vertici di comunicare tra loro?

Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un antico proverbio. Ma qui si è seminata direttamente la tempesta, e ora i maghi della nostra politica si trovano a spiegare, imbarazzati, ai loro elettori quello che non avevano detto prima, e cioè che in un regime democratico per governare bisogna trovare con chi formare una maggioranza.

Ma così si gettano le premesse per le guerre civili, non per i governi democratici! Perché la democrazia è il solo modo che si è trovato finora di far coesistere le diverse posizioni presenti in una nazione, senza dover dirimere le diversità col ricorso alle armi. Perciò è più che lecito, in campagna elettorale, combattere gli avversari, ma non appioppare sul loro volto la maschera del “mostro” da distruggere, perché presumibilmente con loro ci si dovrà accordare.

Così adesso, al di là delle soluzioni che si riuscirà a trovare per dare al Paese un governo di cui ha urgente bisogno, è necessario capire e spiegare al popolo italiano che il vero rinnovamento non si può realizzare continuando a fare giochi di potere e promesse – quanti “contratti”, quanti “patti”, abbiamo avuto in questi anni! – , come nella triste Seconda Repubblica che si pretende di esserci lasciati alle spalle, ma con una nuova maturità civile e politica, che deve coinvolgere tutti, vertici e base, e di cui è parte integrante la rinunzia alla violenza.

Forse è troppo tardi, ma vale la pena di tentare. Almeno per evitare che la gente, dopo aver sognato una vera svolta, resti ancora più amaramente delusa e ricominci a disertare le urne. E che questo Paese continui ad affrontare le grandi questioni del bene comune con lo stile delle tifoserie che si scontrano ciecamente, a colpi di spranga, ancor prima che la partita sia cominciata.