Le menzogne sui migranti. Gli accordi Italia – Libia

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

«Nei miei ventidue anni in Medici Senza Frontiere non avevo mai incontrato un’incarnazione così estrema della crudeltà umana», dice Joanne Liula presidente internazionale di “Medici senza frontiere”, in un’intervista al «Corriere della Sera» del 1 febbraio scorso. La dottoressa Liu (è una pediatra canadese di origine cinese) si riferisce ai centri libici per la detenzione di migranti e rifugiati. «Ne ho visitati due vicino Tripoli nel settembre scorso. Non li chiamerei campi. Sono depositi di persone». Racconta di essere entrata in un locale delle dimensioni di una palestra, dove gli internati erano «così tanti che non potevano stendersi per terra. Molti, seduti, trattenevano con le mani le ginocchia piegate».

E poi l’accusa, senza mezzi termini, alle scelte che in questi ultimi mesi sono state fatte dal governo Gentiloni, incalzato dalla Lega, dagli altri partiti della destra e, sempre più, anche dai 5stelle, ma soprattutto dai sondaggi che mostravano la crescente adesione degli italiani alla loro linea: «Il calo degli sbarchi nel vostro Paese» – ha detto la presidente di “Medici senza frontiere” – «significa, in Libia, aumenti delle torture, degli stupri, di vite in condizioni di fame»

«Aiutiamoli a casa loro» è stato lo slogan. Inventato da Salvini, ripetuto da Renzi, è servito a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica moderata – ma la maggior parte degli italiani non aveva bisogno di giustificazioni – gli accordi stretti l’estate scorsa con la Libia, più precisamente con Fayez al Serraj, presidente del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu. In nome della lotta contro i “trafficanti d’uomini” – questo l’obiettivo dichiarato – , ad agosto l’Italia, con l’approvazione dell’Unione europea, ha scritto un codice di condotta per le Ong limitandone il raggio d’azione e delegando alla Guardia costiera libica, con l’appoggio della marina italiana, il compito di controllare le partenze dai porti africani verso l’Italia. Il risultato di questo accordo è stato la drastica riduzione degli sbarchi, con le conseguenze di cui parla Joanne Liu.

E non è una denunzia isolata. In realtà già poche settimane dopo quegli accordi, il 28 settembre, il commissario dei Diritti umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, ha scritto al nostro ministro degli Interni Marco Minniti, una lettera, che poi, in assenza di una risposta dall’Italia, è stata resa pubblica. In essa gli chiedeva «che tipo di sostegno operativo il suo governo prevede di fornire alle autorità libiche nelle loro acque territoriali e quali salvaguardie l’Italia ha messo in atto per garantire che le persone salvate o intercettate non rischino torture e trattamenti e pene inumane». E si ricorda che «consegnare individui alle autorità libiche o altri gruppi in Libia li esporrebbe a un rischio reale di tortura o trattamento inumano o degradante e il fatto che queste azioni siano condotte in acque territoriali libiche non assolve l’Italia dagli obblighi previsti dalla Convenzione sui diritti umani».

Ampie rassicurazioni, naturalmente, sono venute da Roma. Ma poco dopo, il 6 novembre, in occasione del naufragio nel Mediterraneo di un barcone, un filmato documentava gli abusi compiuti dai libici nei confronti dei migranti. Nel filmato si sente chiaramente un elicottero della Marina italiana che sorvolava quel tratto di mare e che chiedeva insistentemente a una vedetta libica di fermarsi e collaborare, assieme alla nave della Ong Sea Watch, al salvataggio delle persone in mare. La risposta dei libici era di lanciare la motovedetta a piena velocità, trascinando nel vortice 50 persone, morte annegate. E come se non bastasse, le immagini mostrano gli uomini della Guardia costiera libica colpire con corde e bastoni i naufraghi inermi.

Così, non stupisce che, a metà novembre, dopo il Consiglio d’Europa, anche l’Onu sia intervenuta. Durante la riunione del comitato delle Nazioni Unite a Ginevra l’Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad al Hussein ha bollato con parole durissime il patto stretto con Tripoli dal governo Gentiloni per conto dell’Unione Europea: «La politica Ue di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità». L’Alto commissario ha quindi citato le valutazioni degli osservatori dell’Onu inviati nel Paese nordafricano a verificare sul campo la situazione: «Sono rimasti scioccati da ciò che hanno visto: migliaia di uomini denutriti e traumatizzati, donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza la possibilità di accedere ai servizi basilari».

«Non possiamo», ha sottolineato, «rimanere in silenzio di fronte a episodi di schiavitù moderna, uccisioni, stupri e altre forme di violenza sessuale pur di gestire il fenomeno migratorio e pur di evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa».

La risposta di Minniti è stata che comunque era merito dell’Italia se gli inviati dell’Alto commissariato per i diritti umani avevano potuto visitare i centri di accoglienza dove queste atrocità si perpetravano – un “merito” che in verità non sembra diminuire la gravità dell’accusa –, ribadendo, senza ulteriori chiarimenti: «Per noi la questione dei diritti umani è, era e sarà irrinunciabile». Il nostro ministro citava poi come un successo gli oltre 9.353 rimpatri volontari dalla Libia verso i Paesi di origine. Dove non c’è bisogno di essere particolarmente sospettosi per dubitare della “volontarietà” di questi rimpatri da parte di persone nelle condizioni spaventose descritte prima.

Ma ai primi di dicembre la collaborazione tra Libia e Italia si rafforza ulteriormente. I due Paesi annunciano in una nota di aver deciso di creare una cabina di regia congiunta per «combattere il traffico di esseri umani». Di essa, riferiva la nota, avrebbero fatto parte rappresentanti della guardia costiera libica, l’agenzia contro l’immigrazione illegale, il procuratore generale libico, l’intelligence e le controparti italiane. In un messaggio postato su Twitter, l’ambasciata italiana a Tripoli ha riferito che Minniti ha «elogiato gli sforzi libici nella lotta contro il contrabbando di esseri umani. L’Italia è al fianco della Libia ed è impegnata a continuare il buon lavoro congiunto per sradicare la rete di trafficanti e trattare con umanità le loro vittime».

Onestamente, è difficile – davanti al quadro sopra descritto – evitare di restare sbigottiti da simili parole. Siamo consapevoli della difficoltà estrema della situazione. E che – con il clima che regna nel nostro Paese in questo momento – forse dopo le prossime elezioni arriveremo addirittura a rimpiangere il governo attuale, che almeno si vergogna di dire la verità. Oggi in Italia le forze politiche che godono il favore dei pronostici auspicano apertamente che quanto sta accadendo in Libia sia la regola e, andando al potere, lo considereranno un inevitabile “danno collaterale”, un prezzo inevitabile del nostro benessere. Le menzogne di Minniti almeno lo collocano, ai nostri occhi, tra gli esseri umani. Ma restano menzogne.