La croce di papa Francesco

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

La lettera che il papa emerito Benedetto XVI ha inviato alcuni giorni fa a monsignor Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, in occasione della presentazione della collana «La Teologia di Papa Francesco», edita dalla Libreria Editrice Vaticana, è diventata l’ennesima occasione per uno scontro fra gli accaniti oppositori dell’attuale pontefice e coloro che ne sostengono a spada tratta la linea.

Il messaggio era di per sé solo un ringraziamento di Ratzinger al prelato per avergli fatto avere gli undici volumetti dell’opera, scritti da vari teologi che illustrano, sotto i suoi diversi aspetti, la visione di fondo del papa. Concludendolo, Benedetto declinava cortesemente l’invito, rivoltogli contestualmente, a scrivere un suo personale commento, spiegando che non aveva il tempo di leggere, in tempi brevi, i testi inviatigli.

Data la brevità del testo, può essere utile riportarlo per intero, omettendo solo le formali parole di ringraziamento con cui si apre: «Plaudo a questa iniziativa che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi. I piccoli volumi mostrano, a ragione, che Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento. Tuttavia non mi sento di scrivere su di essi una breve e densa pagina teologica, perché in tutta la mia vita è sempre stato chiaro che avrei scritto e mi sarei espresso soltanto su libri che avevo anche veramente letto. Purtroppo, anche solo per ragioni fisiche, non sono in grado di leggere gli undici volumetti nel prossimo futuro, tanto più che mi attendono altri impegni che ho già assunti».

È stupefacente il fatto che questo innocente biglietto si sia trasformato in un campo di battaglia tra le opposte fazioni. I sostenitori di papa Francesco vi hanno visto un sostegno offerto da Benedetto al papa attuale, spesso accusato di muoversi su una linea del tutto contrastante con quella dei suoi predecessori. Così, mons. Viganò ha enfatizzato l’apprezzamento nei confronti della «profonda formazione filosofica e teologica» di Bergoglio e il riconoscimento della «continuità interiore tra i due pontificati», lasciando fuori dal comunicato (anche se dandone lettura in sala stampa) la parte finale che, per quanto gentile, era comunque un modo di sottrarsi alla richiesta di esprimere la propria opinione sull’opera.

I critici – con in testa Antonio Socci, che sembra aver fatto dell’opposizione a questo papa la missione della sua vita – dopo un momento di smarrimento (il giornalista, incredulo, aveva avanzato perfino la richiesta di leggere l’autografo del biglietto), si sono ripresi alla notizia che alla fin fine quello di Benedetto era pur sempre un rifiuto di scrivere un proprio commento.

Esultanza del giornalista: «Lo avevo scritto subito, a caldo, appena il Vaticano ha diffuso la notizia di quella lettera di Benedetto XVI che sembrava – a prima vista – un clamoroso applauso di approvazione a Bergoglio, nell’anniversario della sua elezione – ricorda l’editorialista di Libero . Avevo scritto: perché non rendono nota tutta la lettera? Perché estrapolano solo tre frasi? Adesso è tutto chiaro (…). In sostanza il papa emerito spiega che non ha tempo (da perdere) per scrivere un commento al formidabile pensiero teologico di Bergoglio (come gli avevano chiesto) e nemmeno ha tempo (da perdere) per leggere gli undici piccoli volumi, di vari autori, che dispiegano tutta la sapienza bergogliana. Lui, Benedetto, fa sapere che non li ha letti e nemmeno ha intenzione di leggerli perché ha altro da fare. Capita l’antifona? E ora non gli rompete più le scatole! A buon intenditor poche parole (a me pare un’elegante e sublime presa in giro)».

Il povero Benedetto, strattonato dall’una e dall’altra parte, dev’essere rimasto stupito di queste appassionate esegesi. Della prima, perché quello che nella lettera sembra stargli a cuore, per la verità, sembrerebbe di respingere la contrapposizione esasperata tra la propria figura e quella del suo successore, più che di avallarne la linea. E d’altronde, a che titolo dovrebbe farlo? Ogni pontefice deve assumersi la sua responsabilità e il fatto che ci sia, eccezionalmente, un papa emerito non significa che il valore delle posizioni di quello attuale dipenda dall’approvazione o meno del suo predecessore. Bene fa – e bene ha fatto finora – , dunque, Ratzinger, a non intervenire a sostegno di papa Francesco, perché facendolo ne avrebbe indebolito l’autorità. E infatti nel biglietto si limita, opportunamente, ad accennare sobriamente a una «continuità interiore tra i due pontificati».

Al di là di questo, ovviamente, non poteva andare. Perché è perfettamente plausibile che ci siano punti dell’insegnamento e dello stile di Francesco che il papa emerito personalmente non condivide. Come ce ne sono stati di Giovanni XXIII che Pio XII sicuramente, se fosse stato vivo, avrebbe contestato. E lo stesso vale per la linea di Paolo VI rispetto a quello di papa Giovanni, o della linea di Giovanni Paolo II rispetto a quello di Paolo VI. Ogni pontefice ha una sua impostazione, che non deve rendere conto alle opinioni personali dei predecessori, ma al Vangelo e alla Tradizione della Chiesa.

Quanto all’esultanza di Socci e dei giornali che lo sostengono (da «Libero» a «La Nuova Bussola Quotidiana»), confesso di trovarla un po’ patetica. Che il biglietto di Ratzinger contenga «un’elegante e sublime presa in giro» del pontefice in carica, solo perché l’autore dice di non avere il tempo e le forze, alla sua età, di leggere dei testi che – attenzione! – non sono di papa Francesco, ma di undici teologi intenti a illustrarne il pensiero, mi sembra fare il paio con quell’altra affermazione dello stesso giornalista, secondo cui i risultati delle recenti elezioni, premiando partiti ostili all’accoglienza degli stranieri, «hanno bocciato anche e soprattutto Bergoglio».

Qualcuno dovrebbe spiegare a Socci che la profezia del vicario di Cristo, come quella del suo Signore, non attende la promozione o la bocciatura degli elettori della Lega e dei 5stelle, come neppure quella dei sostenitori di altri partiti, perché la sua misura e il suo premio è solo la fedeltà al Vangelo. È da esso, non da queste polemiche lillipuziane, che bisogna partire per valutare il pontificato di papa Bergoglio. Sapendo bene che ha molti limiti e molte contraddizioni, come quelli dei papi prima di lui – a cominciare da Pietro – e degli altri che verranno dopo di lui. Ma riconoscendo anche, con gratitudine, la salutare carica di rinnovamento che Francesco ha impresso a una Chiesa che rischiava di apparire – e forse era davvero – troppo ripiegata su di sé ed “ingessata”, richiamandola a uno stile più evangelico e più attenta alle istanze degli uomini e delle donne di oggi. Quanto questo sforzo sia coraggioso e stia risultando incisivo lo dice forse proprio l’ossessiva ostilità che si è scatenata contro questo papa – come verso nessun altro, negli ultimi secoli! – da parte di alcuni ambienti cattolici. Buon segno: anche il primo capo della Chiesa fu crocifisso.