Il caso Minutella: il populismo dentro la Chiesa

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

Si parla di solito del populismo come di una minaccia per la democrazia. Il caso Minutella dimostra che esso può diventare pericoloso anche per l’istituzione ecclesiastica, riproducendo all’interno della comunità cristiana i processi tipici che lo caratterizzano: pretesa di saltare tutte le mediazioni, disprezzo per le critiche avanzate in nome della ragione e dell’esperienza, sospetto sistematico di malafede nei confronti degli oppositori.

Unica differenza, rispetto al populismo politico, che questo ecclesiale non contesta il presente in nome del futuro, ma in nome del passato. In entrambi i casi, però, ciò che viene enfatizzata è l’urgenza del “cambiamento” rispetto all’esistente.

Di questo fenomeno ci sono naturalmente altri esempi nella storia della Chiesa (come in quella della società civile). Oggi esso si incarna nel movimento a cui ha dato origine qualche anno fa un sacerdote palermitano, poco più che quarantenne, don Alessandro Minutella.

Parroco della chiesa di San Giovanni Bosco, a Romagnolo, alla periferia di Palermo, il sacerdote ha assunto una posizione di drastica rottura con la Chiesa istituzionale, entro cui pure si inseriva e da cui riceveva la sua autorità spirituale (il parroco esiste perché esiste il vescovo, di cui egli è un collaboratore, nel quadro della Chiesa universale governata dal papa). Don Minutella non ha solo delle riserve sul mons. Lorefice, arcivescovo di Palermo, e su papa Francesco: li considera eretici e indegni di esercitare il loro ruolo di pastori. In realtà è tutta la gerarchia ecclesiastica che, secondo lui rappresenta una «falsa Chiesa», con l’unica eccezione di papa Benedetto XVI, le cui dimissioni egli sostiene essere state il frutto di un complotto della massoneria, con lo scopo di instaurare quel «falso papa» che è Bergoglio.

L’accusa è motivata in primo luogo dalla linea di apertura che il magistero attuale ha assunto nei confronti dei protestanti, dei seguaci di altre religioni, dei gay, dei separati risposati, insomma di tutti coloro che un tempo venivano considerati “fuori” della comunità ecclesiale suoi nemici, e verso cui invece la Chiesa oggi assume un atteggiamento di dialogo e di apertura. Il documento più spesso citato come esempio di questa abdicazione alla «sana dottrina» è l’Amoris Laetitia. Più in generale, secondo don Minutella, è la pastorale attuale nel suo complesso ad essere viziata da un sistematico misconoscimento della spiritualità tradizionale. Papa, vescovi, preti, oggi, sono autori di una grande «impostura», che trascina alla perdizione i loro fedeli.

Il vescovo Lorefice, sia per temperamento che per convinzione poco incline alle misure repressive, ha cercato per prima cosa un dialogo costruttivo, invitando il suo sacerdote a insistere soprattutto sul giusto richiamo alla preghiera e al senso del sacro, lasciando cadere l’accusa di eresia e di corruzione verso i suoi superiori e i suoi confratelli. Lo sforzo di intesa però è fallito, perché don Minutella ritiene di avere la missione di denunciare l’«impostura» di cui la «falsa Chiesa» oggi sarebbe l’emblema.

Nella vicenda di padre Minutella vi è, tuttavia, qualcosa di più inquietante di queste accuse. È la sua pretesa di avere esperienze mistiche straordinarie che gli consentono non solo di parlare a nome della Madonna e di padre Pio, ma di identificarsi con loro. Ho visto personalmente un video (https://www.youtube.com/watch?v=NpMyNumevoo), in cui il prete contestatore parla ai suoi seguaci. «Io sono padre Pio», dice. E lo ripete altre due volte, con forza: «Io sono padre Pio». Su questa premessa, dopo una serie di considerazioni riguardanti la situazione disastrosa del mondo e della Chiesa di oggi, prosegue parlando, in terza persona, di se stesso come di un «povero confratello» che padre Pio raccomanda ai fedeli di accogliere e di sostenere nella sua battaglia contro i massoni.

A un certo punto chi parla (sempre Minutella, ma nella identità di padre Pio) dice ai fedeli: «Adesso io vado, perché sta arrivando la Madonna. Al posto vostro mi metterei in ginocchio». Si vedono i fedeli inginocchiarsi e lui comincia a parlare in falsetto, imitando (per la verità a fatica) una voce femminile, che sarebbe, appunto quella di Maria. Ella supplica il suo Figlio di non punire il mondo come meriterebbe, dato il dilagare dei peccati, e di proteggere, dice, «questo povero mio figlio», questo «mio martire» (che è sempre lo stesso Minutella). «Attraverso lui», afferma la Madonna/Minutella, «Dio ha deciso di rivolgersi a tutti voi» e per questo «i massoni si accaniranno contro di lui» e «sarà perseguitato». E conclude: «Vi benedico insieme a padre Pio che mi ha accompagnato».

Che dire? Siamo davanti a una scena che richiama un binomio da me evocato, in altri “chiaroscuri” a proposito del populismo in campo politico: la tragedia e la farsa. Quella mostrata da don Minutella costituisce una rappresentazione della spiritualità che non può non disturbare chi concepisce l’esperienza cristiana, anche quella mistica, come una cosa seria, da vivere con umile rispetto, e non come l’occasione di una proposizione di sé in modo del tutto autoreferenziale. Una rappresentazione il cui solo senso, alla fine, è che Minutella è il nuovo papa (Benedetto XVI, da lui invocato, non è mai parso disponibile a prestarsi a questi giochetti), garantito dalla Madonna e da padre Pio. Anche ripensando ai casi più noti di esperienze mistiche, in ciascuno di essi al centro era posto il messaggio e non il messaggero, cosa che costituisce una differenza vitale e inquietante: a prescindere dal contenuto specifico dell’annuncio, già questo è più che sufficiente per gettare un’inquietante ombra sulla pretesa di don Minutella di parlare a nome dei santi e di Dio. La ragione, la fede, la tradizione, sono tutti concordi nel prendere le distanze da questa rappresentazione.

Ma, accanto alla farsa, c’è la tragedia. Essa è rappresentata dal seguito che Minutella ha avuto fin dall’inizio e che continua a crescere. Hanno cominciato i suoi parrocchiani che, quando il vescovo Lorefice, esauriti tutti gli altri mezzi, si è risolto a sollevarlo dall’incarico di parroco, hanno fatto un sit-in impedendo al successore di entrare in chiesa. Il tutto, recitando il rosario (abbiamo già visto altri sventolare il rosario per affermare la propria fedeltà al vangelo).

Ma, attraverso i social, che sono il territorio ideale su cui il populismo lancia e vince le sue battaglie – e Radio Domina Nostra, Minutella ha continuato la sua battaglia a livello nazionale, arrivando a tenere a Verona, il 9 giugno scorso, un convegno a cui hanno partecipato più di mille persone, a cui era stato chiesto espressamente di «portare con sé il rosario» e di confessarsi il giorno prima. Ordine del giorno dell’incontro: consacrazione al cuore immacolato di Maria. Così da essere pronti alla battaglia contro le forze massoniche impegnate a destabilizzare il mondo e la Chiesa.

Parlavo di tragedia. Perché il populismo, con la sua ingenua arroganza, con il suo stile aggressivo, con le sue bufale, può attecchire, in campo ecclesiale come in campo politico, solo per un vuoto precedente: di idee, di maturità umana e spirituale, di sane esperienze comunitarie. In questo senso esso va visto come un sintomo e un monito, di cui non solo la società, ma anche la Chiesa devono saper prendere umilmente atto.

Vale per la seconda ciò che abbiamo più volte ripetuto per la prima: è urgente un risveglio culturale che dia di nuovo senso e spessore a istituzioni e comportamenti invecchiati in una stanca abitudine. È urgente – nel caso della Chiesa – un profondo rinnovamento pastorale, capace di rivalutare il ruolo della consapevolezza intellettuale e, al tempo stesso, le risorse del sentimento, andando al di là di un piatto ritualismo. Non certo per rispondere a don Minutella, che onestamente non lo merita, ma per evitare che le attese degli uomini e delle donne del nostro tempo si smarriscano in una parodia di risveglio evangelico.