AI CARI PRESBITERI E DIACONI DELLA CHIESA DI PALERMO

Messaggio di Mons. Corrado Lorefice - Giovedì Santo 2020

CURIA ARCIVESCOVILE DI PALERMO
          IL VICARIO GENERALE

 

Carissimi Confratelli,

ho il grande piacere di trasmettervi la Lettera che il nostro caro Arcivescovo, con la consueta sensibilità che lo contraddistingue, ha pensato di indirizzarci per il Giovedì Santo 2020. Essa è carica di quell’affetto, fraterno e paterno al tempo stesso, che non ci ha fatto mai mancare – tanto più in questo difficile tempo che stiamo vivendo – e che conferma ancora una volta la sua premura verso di noi che siamo il suo clero, i suoi “necessari collaboratori”, ma anche la sollecitudine per l’intera Chiesa palermitana, dalla Provvidenza affidata alle sue cure.

Sappiamo bene, perché ce lo ha manifestato tante volte, quanto stia a cuore al nostro Pastore il Giovedì Santo e, segnatamente, in esso la celebrazione della Messa Crismale in cui viene significata, nella sua più alta espressione, l’unità della chiesa locale raccolta intorno al proprio Vescovo.

Accogliamo, dunque, con gioia le parole che Don Corrado ci rivolge in questo giorno così significativo e che anticipano, speriamo di non molto, quello in cui potremo ritrovarci ancora insieme per celebrare con lui la Messa del Crisma che gli eventi occorrenti ci stanno oggi temporaneamente negando.

Col mio fraterno affettuoso saluto, anticipo a tutti gli auguri per la S. Pasqua.

Palermo, 8 aprile 2020

d. Giuseppe Oliveri, Vic. Gen.

CORRADO ARCIVESCOVO

AI CARI PRESBITERI E DIACONI DELLA CHIESA DI PALERMO

Diciamo e offriamo al popolo la nostra presenza e annunciamo la sua dignità regale, profetica e sacerdotale

Giovedì Santo 2020

 

Oggi, come mi accade spesso in questi giorni, uscendo nel giardino dell’episcopio sono stato travolto dal profumo di zagara, e i miei occhi sono rimasti affascinati dai fiori che deflagrano dalle gemme degli aranci.
Ho pensato a voi miei Presbiteri diocesani e religiosi, miei Diaconi, al profumo di quell’olio che ci ha consacrati nello Spirito; l’olio che questo Giovedì Santo, con nostro grande rammarico, non potremo consacrare: l’olio di Betania che unge e consacra. È la fragranza dell’olio che ci costituisce cristiani, che ci ha consacrati Diaconi e Presbiteri. Diciamocelo in questo Giovedì Santo, così diverso, inatteso e pur tuttavia speciale: il profumo della nostra consacrazione, del nostro essere insieme, uniti da “un’intima fraternità sacramentale” – siamo presbiterio! (cfr Presbyterorum ordinis, 8; Lumen gentium, 28) –, il profumo della nostra crescente amicizia, è il dono che ci rigenera ogni volta.
E così riscopriamo la bellezza del profumo che dall’olio deflagra e si estende, giacché non teme le porte chiuse e non teme i contagi. Questo effluvio vince le barriere dello spazio e del tempo, e pure quelle innalzate dalla desolazione, sparsa a piene mani da Covid-19. È vero: in questo tempo lungo del virus ci vediamo poco, ma le nostre voci, i nostri sguardi, seppur attraverso il video o una conversazione telefonica, ci fanno avvertire l’affetto e il profumo della nostra consacrazione battesimale e sacerdotale.
Figli e Fratelli, ritroviamo nel Risorto proprio oggi quella comunione che trasforma e trasfigura le diversità, le fragilità della nostra vita, le nostre incomprensioni e ci colloca nella potenza rigenerante di quel primo e imperituro Giovedì, accanto a Lui. A quella cena indimenticabile (“Fate questo in memoria di me”: Lc 22,19; 1Cor 11,24) apprendiamo che vuol dire essere discepoli, comprendiamo il senso della nostra relazione e del nostro servizio: lavare i piedi (Gv 13,1-15), lavarci i piedi gli uni gli altri, con l’acqua del rispetto e della compassione, della mitezza e del perdono, dell’abbassamento e della fraternità.
E se, guardandoci attorno, quel Giovedì ci sembra lontano, quasi surreale, se ci pare in verità di essere già entrati e di permanere oggi in un interminabile Getsemani, ricordiamoci la lezione del Monte degli Ulivi: nel giardino del dolore del mondo, nell’orto in cui sono spremuti i corpi e i cuori di tanti amici e fratelli prostrati dalla malattia, dalla sofferenza, dalla guerra, dalla povertà, dalla morte incombente, sappiamo ormai di poter affrontare ogni difficoltà vegliando e pregando accanto al nostro Signore.
Lui ha attraversato da solo questa distretta terribile, sentendo e sapendo, malgrado tutto, di essere nella volontà del Padre (Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42). E avrà pensato a sua Madre che certamente lo avrebbe cercato; al suo diletto Giovanni che non l’avrebbe lasciato; a Pietro che avrebbe pianto lacrime di pentimento dopo aver tradito l’amicizia; avrà immaginato, forse, la resistenza possibile dei legami profondi nella sua notte più oscura. Intendo dire che Gesù a Getsemani era solo, ma dentro di sé non lo era fino in fondo. E questo vale anche per noi in questo Getsemani della storia del mondo, che si apre su un Venerdì Santo che non sembra avere fine.
Eppure, in quel Venerdì, vedendo Gesù morire così, il centurione e tanti pagani si convertirono, i morti si levarono dalle loro tombe, un mondo nuovo iniziava. E anche oggi tante donne e tanti uomini dimostrano di vivere nel profumo del Cristo, dando la vita per salvare le vite degli altri, da veri ‘sacerdoti della vita’. La nostra storia ormai è stata profumata da Lui. Noi crediamo infatti che siamo stati fatti in vista di Lui e per diventare come Lui (cfr Ef 4,13). E questo accade oggi di nuovo: il Venerdì di passione assume il suo senso profondo, rivela la sostanza dell’umanità e la riedifica nell’amore, senza frontiere di fedi, di lingue, di culture. Lì dove si rischia la vita per l’altro, il Venerdì Santo del Risorto trova nella storia il suo senso e rifonda la speranza.
È questa la nostra chiamata, la missione e il destino che tocca a noi in quanto Presbiteri e Diaconi. Certo, noi abbiamo bisogno del popolo, perché fuori da questo popolo il nostro stesso essere non ha senso. Ce ne siamo resi conto oltremodo in questi giorni di dura separazione. Ma anche il popolo di cui siamo parte ha bisogno di noi.
Raggiungiamo le nostre Sorelle e i nostri Fratelli con il profumo di Cristo che supera ogni barriera e si mescola ardente all’odore di ogni pecora, che è invocazione implicita del profumo del Risorto. Diciamo e offriamo al popolo la nostra presenza e annunciamo la sua dignità regale, profetica e sacerdotale.
     Che ogni casa – come scrivevo – viva l’essere Chiesa domestica. Che viva il quotidiano familiare ‒nelle sue luci e nelle sue opacità ‒, come sacralità della famiglia assunta dall’Eucaristia che è mistero nuziale tra la famiglia umana e la famiglia trinitaria, tra Cristo e la Chiesa. Ogni genitore viva la sacralità dell’essere dentro il cuore di Dio come donatore di vita in vista della pienezza; ogni coppia ritrovi e riprenda il bacio che guarisce; ogni figlio senta la gioia di ricevere, e quella incerta e trepida di iniziare a donare. Dite ai giovani che abbiamo bisogno di loro: ancora tanta strada manca alla famiglia umana affinché l’Eucaristia, senso ultimo della storia, pervada ogni esistenza. A loro Papa Francesco a Piazza Politeama indirizzava queste parole: «Mi piace dire che siete chiamati a essere albe di speranza. La speranza sorgerà a Palermo, in Sicilia, in Italia, nella Chiesa a partire da voi» (Discorso ai giovani, Palermo 15.9.2018). Agli anziani a casa siano date parola, attenzione e cura. Che bello ripensare che in questo periodo di convivenza prolungata ci sia tempo per raccontare: i nonni ai nipoti, i genitori ai figli: “Ti ricordi quella volta quando… ?”; “Nonno, mi racconti come hai conosciuto la nonna?”; “Papà, mi racconti quando hai conosciuto la mamma?”; “E come ero appena sono nato?; “Chi è Gesù per voi? Perché andiamo a messa la domenica?”.
Raccontarsi – lo sappiamo – crea i legami. E perché non proviamo anche noi, nella nostra fraternità presbiterale, a raccontarci ritagliandoci tempi e spazi di incontro? Perché non condividiamo in questo tempo difficile paure e speranze, ricordi e sogni? È il racconto della vita, della passione, della morte e della resurrezione di Gesù da cui promana il profumo che ci unisce e ci fa rifiorire.
Un pensiero affettuoso e addolorato giunga da parte nostra – in questo Giovedì Santo che rigenera la nostra consacrazione –, ai morti di questa epidemia, ai Confratelli che non ci sono più, ai familiari distrutti dal dolore, a tutti gli ammalati, ai Vescovi e ai Presbiteri che lottano contro il virus; ai tanti (sempre troppi!) senza casa e senza affetto. Un pensiero grato – l’ho già ribadito più volte – ai medici e agli infermieri che rischiano e danno la vita per custodire in molti modi la vita degli altri. Alle donne e agli uomini che si prodigano per l’ordine e la sicurezza, ai tanti volontari, in particolare quelli della Protezione civile e della Caritas.
Invochiamo insieme in questo Giovedì Santo lo Spirito che ha consacrato con l’unzione Gesù di Nazareth (cfr Lc 4, 21), perché l’umanità possa guardare al futuro con una lucida e compassionevole attenzione agli ultimi. Diventa sempre più chiaro come la tragedia che stiamo vivendo sia derivata anche dall’oblio della sacralità del prendersi cura dei deboli, della salute di tutti, sacrificata a precisi obiettivi di potere e di profitto. La crisi della sanità è forse il punto chiave, rivelativo dell’attuale calamità. La salute, la buona vita non può diventare un bene solo di alcuni, non può essere privatizzata e trascurata. L’Eucaristia che guarisce i cuori ci guarisca anche da ogni cupidigia, riorienti ogni scelta e ogni politica: se non ci si prende cura degli ultimi si preparano nuove catastrofi.
In questo periodo celebriamo l’Eucaristia, purtroppo, con pochissime persone. Diventi questa sofferenza ricordo pressante che la fractio panis non si celebra mai soltanto per quelli che sono presenti. A volte le Assemblee eucaristiche affollate possono farci dimenticare – come dicevo nell’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva dell’Assemblea Pastorale della Chiesa di Palermo – che il perimetro di ogni ‘Messa’ (è anche sacramento di un invio!) non è recintato dai muri di una chiesa, ma è là dove c’è un povero, un abbandonato, qualcuno senza pane e senza amore (cfr Omelia, 26.1.2020).
Vorrei entrare nei vostri cuori per comprendere i sentimenti di scoraggiamento, di avvilimento, per risentire l’unità, la speranza, il calore e per camminare insieme. Vorrei che noi ci sentissimo presbiterio di una Chiesa che «dovendosi estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascende i tempi e i confini dei popoli» (Lumen gentium, 9). Vorrei, per questo, che noi Presbiteri e Diaconi potessimo far sentire, rendere presente il Risorto nelle nostre comunità ma anche nel nostro territorio. L’O Redemptor che non canteremo questo Giovedì Santo nella nostra Cattedrale durante la Messa Crismale risuoni lì dove i nostri passi si incrociano con i cammini spesso tortuosi e polverosi della nostra gente. L’antico Inno che esalta la fragranza spirituale dell’olio di oliva arrivi ovunque, frattanto, attraverso l’originale e creativo video preparato dai nostri Confratelli più giovani.
Vorrei far giungere a voi il mio abbraccio ed effonderlo cuore a cuore. La zagara esplosa nei nostri ‘giardini’, memoria di quella primavera del giardino del Golgota ove fu sepolto il Signore Gesù, ci narra e ci assicura che c’è un risveglio in atto dentro il travaglio generativo della storia perché ormai fecondata dalla Pasqua di Cristo. È una fragranza che attira e coinvolge tutti noi come umili, audaci e creativi ‘profumieri’ di vita, di semplicità, di mitezza, di bene, di condivisione, di giustizia e di pace.
«Il mondo ‒ scriveva don Primo Mazzolari ‒ si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi ci mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura, imbarbarisce se scateniamo la belva che è in ognuno di noi. L’“ordine nuovo” incomincia se qualcuno si sforza di divenire un “uomo nuovo”. La primavera incomincia con il primo fiore, il giorno con il primo barlume, la notte con la prima stella, il torrente con la prima goccia, il fuoco con la prima scintilla, l’amore con il primo sogno. Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci» (Impegno con Cristo).
Vi rinnovo il mio affetto con uno sguardo di tenerezza. Viviamo insieme questo insolito Giovedì santo, Figli e Fratelli miei, accanto a Cristo, nel Cenacolo, per affrontare il dolore e la morte del Venerdì, per essere ascoltatori e testimoni del silenzio di Dio e della discesa agli inferi del Sabato. Per gustare assieme la gioia certa e insopprimibile della Pasqua.

Maria Madre degli Apostoli ci convochi presso la croce gloriosa del suo Figlio con il nostro Beato don Pino Puglisi e con S. Rosalia, liberatrice di città in balia della peste.

Vi abbraccio tutti con paterno e fraterno affetto.

Palermo, Giovedì Santo 2020

+ Corrado Lorefice
Arcivescovo