I Chiaroscuri – I confini dell’umano. Carola / Antigone sfida il potere

I chiaroscuri di Giuseppe Savagnone

Foto di Jonas Schreijag su SeaWatchItaly-Twitter

Due casi di illegalità

L’immagine del giovane padre salvadoregno annegato, in un ultimo abbraccio alla sua bambina, mentre cercava di attraversare illegalmente il confine tra Messico e Stati Uniti, si trova spontaneamente associata, sulle prime pagine dei giornali, con la notizia che la giovane capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete, ha deciso di rompere il blocco imposto dal ministro Salvini e di pagare sulla propria pelle il prezzo delle pesantissime sanzioni (15 anni di carcere, più una forte multa e la confisca della nave) che il Decreto sicurezza bis, appena entrato in vigore, prevede per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, pur di far sbarcare, dopo due settimane di torturante attesa, i 42 migranti sottratti all’annegamento.

La reazione del ministro degli Interni…

Se chi viola la legge è un criminale, siamo senza dubbio davanti a due casi evidenti di criminalità. Per quanto riguarda la Sea Watch è questa la linea del ministro degli Interni, che fino ad ora aveva avuto il solito atteggiamento fra l’ironico e lo sprezzante – «Resteranno in mare fino a Natale», aveva detto – e che ora si è infuriato per questa svolta inaspettata: «Si avvicinano a Lampedusa? Useremo ogni mezzo democraticamente concesso per fermare questo scempio del diritto e dello spirito di dignità umana (…). Io l’autorizzazione allo sbarco non la darò e non la darò mai. Nessuno pensi di poter fare i porci comodi suoi sfruttando qualche decina di disgraziati sfruttati dagli scafisti per fregarsene della legge di uno Stato».

E ancora: «Chi se ne frega delle regole ne risponde, lo dico anche a quella sbruffoncella della comandante della Sea Watch che fa politica sulla pelle degli immigrati pagata non si sa da chi».

E quella dei suoi alleati

Sulla stessa lunghezza d’onda la sua alleata Giorgia Meloni, leader dei Fratelli d’Italia (un partito che gli italiani hanno molto valorizzato nelle ultime elezioni): «Adesso mi aspetto che il governo italiano faccia rispettare quelle regole che le Ong pensano di poter violare. La Sea Watch è una nave che deve essere sequestrata, l’equipaggio deve essere arrestato, gli immigrati che sono a bordo devono essere fatti sbarcare e rimpatriati immediatamente e la nave deve essere affondata», ha scritto in un tweet Giorgia Meloni.

Basta scorrere i commenti sui social per verificare che sono in molti a condividere questa posizione: «Si tratta di clandestini, non di migranti!».

«Le leggi dello Stato vanno rispettate, a qualunque costo!». «Intervenire subito, drasticamente, per bloccare l’invasione illegale!».

Una tragedia di due millenni e mezzo fa

Già. Le leggi dello Stato. Ma siamo così sicuri che sia sempre giusto quello che comandano e che sia un criminale chiunque le violi? La domanda non è di oggi.

La pone, con forza drammatica ineguagliata, una tragedia di Sofocle scritta 450 anni prima di Cristo, l’«Antigone», la cui protagonista decide di dare sepoltura al fratello Polinice, violando un decreto del legittimo re di Tebe, Creonte, che prevede come pena di morte.

Creonte ha dalla sua la ragion di Stato – Polinice è caduto combattendo contro la sua stessa città ed è dunque un traditore – ed è perciò irremovibile.

Ne va di mezzo, inoltre, la sua personale credibilità di sovrano che cerca di riportare l’ordine in una polis a lungo devastata dai conflitti: «Io con queste leggi saprò rendere prospera la città», egli dichiara all’inizio dell’opera.

Ma Antigone non obbedisce e dà sepoltura al defunto. Il re la convoca e le chiede se ignorasse che era proibito, ma ella risponde di no. «E pur osasti violare la legge?» le domanda furioso il sovrano.

La risposta di Antigone è rimasta nella storia della civiltà come una sfida sempre aperta e rinnovata: «Io non ho creduto», ella dice al re, «che i tuoi decreti avessero tanta forza da portare un mortale a violare le leggi dei Celesti, non scritte ed incrollabili (…); esse vivono eterne e nessuno conosce il giorno in cui nacquero».

La giovane è ben consapevole delle conseguenze a cui va incontro sfidando il potere: «Che io dovessi morire, ben lo sapevo (…). Tu dirai che mi comporto da folle: ma forse è un folle proprio chi mi accusa di follia».

Antigone morirà, anche se Creonte (che è suo zio e il cui figlio è fidanzato con la ragazza) non vorrebbe arrivare a questa estrema conseguenza. Ma la logica del potere è inesorabile.

Questa storia mi è tornata alla mente leggendo il tweet di Carola Rackete in cui annunciava la sua scelta: «Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo».

Salcini e Creonte

E da questa storia si ricavano alcune considerazioni che mi sembrano pertinenti. La prima è che anche il nostro vicepremier vuole rimettere ordine nel vasto e complesso fenomeno dell’immigrazione, la cui gestione, da parte dei governi precedenti, è stata sicuramente disastrosa, alimentando (almeno fino al ministro Minniti) un’accoglienza senza integrazione, che era un business per gli italiani e una fabbrica di marginalità per gli stranieri.

Non basta però cambiare una politica sbagliata per farne una giusta. Chiudere indiscriminatamente i porti è stato altrettanto assurdo che aprirli indiscriminatamente.

E in più sta determinando una serie di comportamenti disumani, da parte dell’Italia, nei confronti di poveri indifesi come quelli della Diciotti o questi della Sea Watch. Come nel caso di Creonte si tratta di una reazione che, per superare disordini precedenti, ne produce di nuovi a danno degli esseri umani.

Ma le leggi chi – e come – le ha fatte?

Una seconda considerazione è che dalle parole degli attuali, intransigenti paladini delle regole non emerge mai il riconoscimento che queste regole le hanno fatto loro, ignorando le mille contestazioni che da tutte le parti venivano mosse contro la loro stessa legittimità costituzionale (ancora, infatti da verificare).

Si tratta, insomma, di leggi, come i due «Decreti sicurezza», che hanno il loro fondamento non in un consenso maturato attraverso un ampio e pacato confronto democratico, ma in una imposizione unilaterale di una parte politica che ha fatto valere brutalmente il suo potere.

Quando Salvini dice che come cittadino si aspetta che leggi vengano rispettate, dimentica di aggiungere che esse sono in realtà – sotto gli occhi di tutti – il frutto della prepotente invasività con cui egli, in questo anno e mezzo, ha esautorato il governo (dov’è stato e dov’è il presidente del Consiglio?) e il Parlamento (ridotto a mero esecutore degli ordini dei vicepremier).

In ogni caso la legalità non coincide mai automaticamente con la verità e la giustizia. Altrimenti sarebbero vere e giuste le leggi di tutte le tirannidi del remoto passato e di tutti i totalitarismi di quello più recente. Rispettare le leggi non significa approvarle. E in certi casi, non si possono neppure obbedire ad esse senza vilare quel confine tra l’umano e il disumano che resta la regola ultima per la coscienza.

È questo confine che Carola Rackete, come Antigone, ha inteso evidenziare col suo comportamento.

Il fine giustifica i mezzi?

Una terza considerazione, nel confronto con la tragedia di Sofocle, nasce da prendere atto che il potere ha, ovviamente, le sue ragioni.

Il ragionamento del nostro ministro degli Interni è semplice: se respingiamo questa gente in mare, in Libia, ovunque tranne che in Italia, scoraggeremo gli altri dal partire. Ci saranno dunque meno tragedie nel Mediterraneo. Al contrario, incoraggiare con una linea di accoglienza le partenze significa moltiplicarle.

Donald Trump ha detto esattamente la stessa cosa, commentando la tragica morte del migrante salvadoregno e della sua bambina: la colpa, ha detto, è delle politiche migratorie dei democratici, che hanno favorito questi viaggi della disperazione, invece di bloccarli sul nascere.

Due sono i difetti di questo ragionamento. Il primo è che presuppone che il fine giustifichi sempre i mezzi. Un ragionamento simile però lo possono fare anche dei terroristi che pensano di sacrificare delle vite umane per evitare che altre, in futuro, vengono schiacciate da un sistema capitalistico spietato, come peraltro di fatto avviene. Ma nessun progetto a lungo termine può passare dal sacrifico calcolato e consapevole di esseri umani.

Ma perché non cambiare le leggi?

Il secondo difetto è che, se il viaggio nel Mediterraneo o dal Messico agli Stati Uniti è così pericoloso, è perché leggi restrittive assurde hanno reso necessario a chi vuole cercare un futuro migliore in Paesi più ricchi del proprio cercare le vie della clandestinità, mettendosi nelle mani degli scafisti, invece di prendere comodamente un aereo come fanno i turisti.

Prima di dire che il Mediterraneo è pericoloso bisognerebbe rivedere la nostra legislazione, a partire dalla legge Bossi-Fini (Bossi vi dice qualcosa?) fino ai «Decreti sicurezza», non per aprire indiscriminatamente le porte, ma per consentire un flusso regolato e razionale, in rapporto alle nostre capacità di integrazione – cosa che questa legislazione non fa minimamente.

Allora sarebbe possibile evitare le morti nel Mediterraneo senza dover spedire i migranti nei campi di concentramento libici o lasciarli in mezzo al mare a marcire.

Il confine tra umano e disumano

Grazie, Carola-Antigone, di averci ricordato queste cose. Di averci aiutato a riscoprire un’antica verità, che per tutti, credenti o non credenti, dovrebbe essere vincolante a livello privato come a quello pubblico, e cioè che il confine tra l’umano e il disumano è invalicabile, quali che siano le decisioni del potere.